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Pan di stelle, Nutella Biscuits e Peste Suina

LA GUERRA DEI BISCOTTI

Da alcuni giorni in Italia si fa un gran vociare della guerra che è scoppiata fra Barilla e Ferreo. La prima a Gennaio ha lanciato sul mercato la “Crema Spalmabile ai Pan di Stelle” sferrando un attacco frontale alla multinazionale di Alba che da 55 anni domina il settore con sua maestà “La Nutella”. La risposta di Ferrero non si è fatta attendere: da alcuni giorni negli scaffali dei supermercati di tutto il mondo si possono trovare le prime partite dei nuovi “Nutella biscuits”, un vero e proprio colpo di cannone che rischia di scombussolare il tranquillo settore dei biscotti dominato dalla multinazionale di Parma che con i suoi marchi Pavesi, Pan Di Stelle e Mulino Bianco si aggiudica da anni tutto il podio dei biscotti più venduti in Europa (al primo posto troviamo le “Gocciole Pavesi” seguite dai “Pan Di Stelle” e infine dalle “Macine” che diciamoci la verità, da quando non hanno più l’olio di palma non sono più la stessa cosa…).

 

ANNUS DOMINI 2019: LA PIÙ GRANDE PANDEMIA NELLA STORIA ANIMALE

Mentre in Svizzera seguiamo con apprensione (e con l’acquolina in bocca) le divertenti vicende dolciarie italiane, nel settore alimentare mondiale sta succedendo qualcosa di molto più inquietante. In questi ultimi 12 mesi in Cina sono stati uccisi più di 100 milioni di suini (sui 450 milioni allevati nel paese) a causa di una violentissima e inarrestabile peste suina che si sta diffondendo a macchia d’olio in tutto il sud est asiatico, in Africa e in Europa orientale. In Italia e Svizzera non se n’è sentito parlare molto, senza dubbio molto meno dei Nutella Biscuits, ma ci troviamo di fronte alla più vasta epidemia che il mondo animale abbia mai conosciuto ed il presidente dell’Oms per la salute animale Mark Schipp sostiene che «la peste suina potrebbe colpire entro il 2021 un quarto di tutti i maiali presenti sul pianeta con ripercussioni drammatiche sulla filiera di approvvigionamento alimentare di centinaia di milioni di persone». Infatti ad oggi non esistono cure o vaccini e l’unica soluzione possibile è quella di abbattere tutti i capi di bestiame presenti nelle aree contagiate per cercare di contenere la diffusione del virus. La situazione è talmente seria che in Cina sono stati perfino annullati i festeggiamenti per i 70 anni della fondazione della Repubblica Popolare Cinese e, nonostante il governo abbia deciso di attingere alle riserve strategiche di carne suina congelata immettendone migliaia di tonnellate sul mercato, la disponibilità di carne di allevamento sta iniziato a scarseggiare in tutti i principali centri urbani del paese. Il crollo della produzione interna non consente più di soddisfare la domanda e la situazione non è migliorata nemmeno dopo che il governo centrale ha tolto il divieto d’importazione di carne dall’estero. Ogni cinese consuma in media 55 kg di carne di maiale all’anno e in molte regioni le autorità hanno invitato la popolazione a sostituirla con quella di pollo il cui prezzo però nel frattempo è schizzato di oltre il 120% negli ultimi 12 mesi. Intanto i macelli del Brasile, tra i principali produttori mondiali di carne di maiale, lavorano a pieno ritmo per far fronte alle richieste cinesi. Anche l’export europeo verso il paese asiatico è aumentato del 50%. Germania e Spagna, che allevano ogni anno più di 50 milioni di suini ciascuno, fanno fatica a stare dietro alla domanda cinese e l’Italia, nonostante sia il maggiore importatore europeo di carne suina per la preparazione dei prosciutti nazionali, sta esportando verso il paese asiatico ad un livello record con conseguenze drammatiche per tutta la filiera di trasformazione che non trova più la materia prima per le sue lavorazioni. Un flusso senza precedenti di carni suine si sta muovendo verso la Cina che da inizio anno ha triplicato le quantità importate e che, tuttavia, non è sufficiente a compensare gli abbattimenti di questi mesi.

 

SFAMARE L’UMANITÀ È DAVVERO COSÌ FACILE?

Questa vicenda dovrebbe farci riflettere su quanto sia fragile il settore alimentare. Nonostante lo sviluppo tecnologico la produzione di cibo è ancora in gran parte legata a fattori naturali e ad eventi difficili da controllare e regolare. Spesso non ce ne rendiamo conto perché la civiltà in cui viviamo ci ha abituati a credere che la disponibilità di cibo sia scontata ed illimitata, i supermercati sono sempre pieni ed il problema dell’irregolarità nella produzione è stato risolto in parte con gli stoccaggi ed in parte con una sovraproduzione cronica che a livello planetario genera una grande quantità di scarti. All’interno di un sistema così inefficiente, delicato e competitivo i piccoli produttori sono i più esposti ai rischi perché non hanno diversificazione nella produzione e non hanno la forza logistica e finanziaria per superare le fasi di crisi. Viceversa le grandi aziende multinazionali riescono a gestire meglio l’impatto delle pandemie e degli eventi estremi su larga scala. Hanno le dimensioni per sopperire alle crisi di produzione in determinati comparti e soprattutto hanno la capacità di gestire l’elevata volatilità dei prezzi conseguente ad una domanda continua ed ineludibile che raramente si trova in equilibrio con un’offerta che invece è variabile e difficile da regolare.

 

NESTLÈ, UNILEVER E DANONE: LA TRIADE PER STABILIZZARE I PORTAFOGLI

Questi motivi ci portano a credere che la componente food & beverage rivesta un ruolo fondamentale all’interno di un portafoglio azionario. In un’ottica di medio periodo investire su società leader nella produzione di beni alimentari è un ottimo heding contro le incertezze geopolitiche e macroeconomiche mondiali: qualsiasi sarà l’andamento dell’economia è improbabile che nei prossimi anni la richiesta di cibo possa contrarsi drasticamente e la vicenda della peste suina ci dimostra semmai che potrebbe proprio essere l’offerta a dover affrontare le sfide più grandi. Nel mondo le pandemie sono in aumento, i cambiamenti climatici stanno sconvolgendo sistemi di produzione che sembravano essere consolidati e le abitudini alimentari della popolazione mondiale stanno cambiando rapidamente. In questo scenario saranno soltanto le multinazionali ad avere la forza tecnologica e finanziari per adattarsi ed approfittare dei cambiamenti mentre molti piccoli e medi produttori soccomberanno. A tal riguardo i titoli che preferiamo in questo momento sono Nestlè ed Unilever che presentano un ottimo posizionamento di mercato, hanno una qualità del management eccellente (ricordiamo le operazioni societarie portate a termine da Mark Schneider, CEO di Nestlè, quando era al comando di Fresenius), presentano business plan e strategie in linea con le nostre view e scambiano a multipli fair se valutati considerando la buona qualità dei loro bilanci. Sempre facenti parte del settore food & beverage siamo particolarmente confident su Danone ed Heineken (abbiamo da poco aumentato le posizioni nei portafogli dei clienti) e teniamo sotto stretta osservazione Mc Donald’s Corporation, Coca Cola e Campari in attesa che i prezzi tornino ad essere attrattivi.