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Tightening all’orizzonte: è il caso di preoccuparsi?

Il periodo estivo è stato caratterizzato da un denso susseguirsi di eventi e di notizie che hanno portato incertezza e volatilità sui mercati europei e più in generale sulle piazze borsistiche di tutto il mondo ad esclusione degli Stati Uniti dove la fase di “goldilocks economy” perdura senza mostrare cenni di stanchezza. Inoltre in questi ultimi mesi,  nonostante i dati macroeconomici non siano stati particolarmente negativi, abbiamo assistito ad un graduale deterioramento del sentiment degli investitori internazionali testimoniato anche dalle esternazioni e dai warnings lanciati da molti personaggi di spicco del mondo economico e finanziario. Se ad inizio anno Lloyd Blankfein, CEO di Goldman Sachs, ad una domanda sullo stato di salute dell’economia ha risposto “I haven’t felt this good since 2006” più recentemente i moniti catastrofisti si sono moltiplicati. George Soros ormai parla apertamente di possibile disgregazione dell’unione monetaria europea e Christine Lagarde, numero uno dell’FMI, ha affermato che dal crollo di Lehman Brothers sono stati fatti progressi ma a livello internazionale permangono tutt’ora molte criticità perchè la cultura del sistema finanziario che scatenò la crisi del 2008 è ancora presente e diffusa. Inoltre, sempre secondo il numero uno dell’FMI, a livello planetario il debito aggregato è salito in modo eccessivo ed allarmante e questo fatto espone a rischi sistemici imprevedibili.

Quelli citati sono soltanto alcuni esempi del mood che si percepisce e pertanto sorgono spontanee alcune domande: come mai a fronte di dati economici relativamente buoni aleggia un pessimismo così profondo? È davvero il caso di temere l’arrivo di una nuova gande crisi e ci sono ragioni fondate per essere così preoccupati e scettici? Proviamo a fare alcune considerazioni per capire quali potrebbero essere gli sviluppi che ci attendono.

Durante l’ultimo semestre 2017 e nei primi due trimestri del 2018 i bilanci della Corporate America hanno mostrato numeri entusiasmanti grazie alla forte domanda interna ed al prodigioso impatto della riforma fiscale intrapresa dall’amministrazione Trump. La conseguenza più diretta è stata l’aumento degli investimenti delle aziende USA che, congiuntamente all’aumento dei consumi, ha comportato un’impennata della crescita statunitense ed un aumento dell’inflazione. Fin qui tutto bene se non fosse che sullo scacchiere economico mondiale non ci sono soltanto gli USA ma c’è anche l’Europa, la Cina e tutti gli altri paesi emergenti in cui al contrario si registra un rallentamento della crescita.

Il 13 Settembre scorso, durante la conferenza della BCE sui tassi, il presidente Draghi ha affermato che l’istituto centrale ha limato le stime sulla crescita del PIL dell’Eurozona al 2% per il 2018, all’ 1,8% per il 2019 e all’ 1,7% per il 2020. Inoltre in alcuni paesi emergenti si sta cominciando a vedere l’effetto repressivo del rialzo generalizzato dei tassi che aggrava problematiche idiosincratiche già esistenti, scatena tensioni sulle valute, sui debiti ed in ultima istanza impatta sull’andamento del PIL. Ed è proprio questa divergenza nella crescita che rappresenta il vero problema perché se da una parte ci troviamo in presenza di una Federal Reserve spinta ad adottare politiche sempre meno accomodanti, dall’altra parte abbiamo economie che arrancano, annaspano e rischiano di rimanere soffocate dall’inasprimento delle favorevoli condizioni creditizie su cui in questi anni hanno costruito le basi della loro prosperità. Come se non bastasse, all’interno di questo scenario disomogeneo, sono sopraggiunti i dazi reclamati ed imposti dall’amministrazione Trump che hanno avuto l’effetto di accentuare questo sbilanciamento. Essi infatti depotenziano il “relief valve effect”: sugli scambi commerciali (e di conseguenza sui movimenti dei capitali) incidono anche le tariffe d’importazione che sfavoriscono il riassorbimento degli squilibri sui cambi e sui tassi di crescita. Pertanto ci troviamo di fronte ad un contesto di irrigidimento delle politiche monetarie negli USA (come detto giustificato dai dati domestici) che però comporta un drenaggio di capitali a livello internazionale con una conseguente propagazione dell’effetto di deleveraging su scala planetaria che, a sua volta, sfavorisce la crescita e alimenta tensioni sulle valute minori e sui debiti (pensiamo a ciò che sta accadendo in Turchia, Argentina, Brasile, Sud Africa, India ed Indonesia). Chiaramente questi fattori non possono che alimentare il pessimismo e la preoccupazione degli investitori, il risk off momentum e di conseguenza un fly to quality che premia l’asset “Made in USA” (in particolar modo il T note) con l’effetto che gli Stati Uniti non stanno percependo appieno l’impatto del loro stesso tightening. Ciò potrebbe spingere la Fed ad incrementare ulteriormente la sua aggressività con il rischio che si inneschi un pericoloso circolo vizioso. Se queste sono le principali criticità non possiamo tuttavia trascurare che sullo scenario economico mondiale permangono molti fattori favorevoli. La crescita resta solida e resiliente in gran parte delle aree (+3,9% il Pil nel 2018 e nel 2019 secondo le stime delle Banca Mondiale), nei paesi OECD la disoccupazione è in calo e i salari sono in aumento, l’inflazione nelle principali economie non è lontana da livelli considerati ottimali, le principali corporations mondiali non hanno smesso di presentare ottimi bilanci e anche le valutazioni su molti assets non risultano essere particolarmente elevate su base storica (si pensi ad esempio all’equity europeo).

Pertanto ora è prematuro dire se sia davvero il caso di allarmarsi e anzi, pensare che ci troviamo di fronte a scenari catastrofici è probabilmente eccessivo. Senza dubbio sullo scacchiere economico finanziario e politico internazionale permangono alcune criticità (a partire proprio da una possibile escalation nella “guerra” dei dazi o ad un evento creditizio sul debito pubblico italiano) ma ricordiamoci che molto spesso non sono i rischi prevedibili ed evidenti a fare i danni peggiori bensì sono i cigni neri, quegli eventi imprevisti ed imprevedibili per definizione che capitano all’improvviso quando nessuno se lo aspetta senza concedere il tempo di prendere le dovute contromisure.