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Il Toro, i sogni e le strategie passive

IL SOGNO AMERICANO

Il Charging Bull di New York, la statua in bronzo dello scultore Arturo Di Modica che raffigura un toro in carica, è diventata in pochi anni uno dei simboli più noti del capitalismo mondiale, una vera e propria icona internazionale della finanza, visitata e fotografata quasi quanto la Statua della Libertà. L’opera a prima vista sembra esclusivamente un tripudio di forza ed aggressività ma in realtà simboleggia molto di più: è un omaggio allo spirito d’intraprendenza del self made man americano, al suo coraggio ed alla capacità di affrontare grandi sfide per trasformare sogni in realtà. Inoltre è stata creata con l’intento di celebrare lo spirito di rivalsa e di riscatto di cui l’opera stessa è un esempio clamoroso: dopo esser stata posizionata illegalmente di fronte al palazzo della borsa di New York come omaggio a tutti coloro che non persero le speranze durante la crisi dell’87, fu ripudiata dagli stessi vertici di Wall Street che chiesero all’amministrazione cittadina di rimuoverla senza nemmeno immaginare quale successo avrebbe riscosso negli anni a venire.

IL GRAFICO DELL’AMERICAN DREAM

Se guardiamo alla performance dell’S&P 500 di quest’ultimo secolo ritroviamo tutti i concetti di cui il Charging Bull è espressione: nonostante la drammatica crisi del 1929, la Seconda Guerra mondiale, il lunedì nero del 1987, lo scoppio della bolla speculativa giapponese, la dot.com bubble, l’11 settembre 2001, la crisi dei mutui subprime etc… l’indice è sempre riuscito a recuperare il terreno perduto. Per dare un’idea della dimensione di questo “American Dream finanziario” basti pensare che se un investitore avesse investito sull’indice USA il 30 dicembre 1927 oggi starebbe generando un’incredibile performance del 15691,96% pari a circa il 5,69% annuo. Il tutto senza considerare i dividendi che farebbero lievitare ulteriormente questo risultato.

Un dato ancor più sorprendente lo si ottiene se si considera un ingresso sul mercato americano in un momento poco favorevole (come ad esempio durante il picco dell’Agosto 1987 e quindi “comprando male”) ed una successiva vendita a Marzo 2009, cioè in uno dei momenti più drammatici della storia della finanza. Si potrebbe pensare di aver fatto un disastro ma la realtà ci dice il contrario perché nonostante il pessimo timing in questi 22 anni avremmo ottenuto una performance del +100,89% pari a circa il +3,29% annuo (anche in questo caso senza contare i dividendi). Insomma, performance che per molti investitori sono da sogno.

STRATEGIE PASSIVE: LA VERA SOLUZIONE?

Dalle semplici considerazioni fatte precedentemente verrebbe da chiedersi se la soluzione d’investimento più furba non sia quella di adottare una classica buy and hold strategy su indici azionari, soprattutto per investitori che hanno un orizzonte temporale medio / lungo. Purtroppo ci sono alcune criticità che spesso vengono sottovalutate e molto frequentemente finiscono per danneggiare pesantemente i ritorni degli investitori. Ad esempio bisogna valutare innanzitutto che cosa si intende con orizzonte temporale medio / lungo. Una risposta sembra darcela Buffet quando afferma sarcasticamente che “Chi non è pronto a tenere un’azione per almeno 10 anni non dovrebbe essere pronto a tenerla nemmeno 10 minuti” e questo già ci fa capire che se Buffet ha ragione molti investitori sovrastimano la loro resilienza temporale di portafoglio. Le analisi di mercato in effetti indicano che i mean recovery rolling times dei drawdown vanno dai 7 anni per l’S&P 500 negli ultimi 50 anni fino a circa 13 anni per mercati come quello italiano. Anche con la più buona volontà è raro che un investitore abbia la capacità, la possibilità o la pazienza di tenere immobilizzato il suo capitale per un periodo così lungo. Inoltre bisogna valutare lo scenario di mercato in cui ci si trova perché i tempi per recuperare i drawdown sono estremamente variabili e dipendono in larga parte dal timing d’ingresso e quindi dalla situazione macroeconomica e geopolitica del momento.

Come se non bastasse consideriamo che le strategie passive sono intrinsecamente inefficienti a causa di alcuni meccanismi che spesso vengono sottovalutati ma che in realtà sono estremamente impattanti ed in certi casi mettono perfino in dubbio lo stesso termine “strategie passive”. Si pensi ad esempio al delaying sull’earning momentum che si ottiene a causa della discretizzazione temporale nel rebuilding degl’indici. Per capire di cosa si tratta facciamo un esempio semplice: il 27 Dicembre 2018 il titolo Juventus è entrato a far parte del principale indice borsistico italiano, il Ftse Mib. Questo è successo grazie alla crescita della capitalizzazione di mercato della società conseguente all’euforia borsistica che ne ha fatto aumentare vertiginosamente il prezzo del titolo (probabilmente anche a causa di fattori slegati dalle analisi di business o di bilancio). Pertanto chi deteneva l’indice ha comprato questo titolo soltanto dopo il suo rally di prezzo e non prima. Contestualmente ha venduto i titoli usciti dal paniere di riferimento (Mediaset e Mediolanum) soltanto dopo il loro deprezzamento e quindi dopo aver generato una minusvalenza. Un altro esempio eclatante è stato l’ingresso di Kering, di Linde e di Amadeus nell’ EuroStoxx 50 in sostituzione dell’agonizzante Deutsche Bank, di Saint Gobain e di E.On: anche in tal caso i titoli entrati erano reduci di performance positive strepitose e Amadeus addirittura era stata esclusa dallo stesso indice un anno prima per poi rifare capolino dopo un rebound straordinario. Gli indici borsistici vengono ribilanciati periodicamente in base alle market cap delle società e questo genera delle incredibili inefficienze; la gestione passiva di fatto comprende al suo interno una pessima gestione attiva di mean reversion invertita.

Possiamo concludere che la realtà è molto più complessa e variegata di come si potrebbe immaginare e le strategie passive, ovvero quelle che si limitano a replicare l’andamento di un mercato o di un indice sottostante, non sono una soluzione universale. A fronte di alcuni vantaggi (ad esempio costi molto bassi) sono intrinsecamente inefficienti e spesso non vengono calibrate adeguatamente rispetto alle necessità del cliente. Quindi, un po’ come nel caso della medicina, è sempre consigliabile affidarsi a dei professionisti preparati e capaci di comprendere innanzitutto le necessità del singolo investitore per poi costruire una strategia basata sulle sue esigenze specifiche.